Recycled Sportswear Building: prime idee
giovedì 25 aprile 2013
Premio Scacchiera 2013
Primo gruppo:
http://www.youtube.com/watch?v=rbPndjf8ID4
Secondo gruppo:
http://www.youtube.com/watch?v=e-xTDQat0lo
Terzo gruppo:
http://www.youtube.com/watch?v=JCw3D8vy5Ac
La premiazione:
http://www.youtube.com/watch?v=rbPndjf8ID4
Secondo gruppo:
http://www.youtube.com/watch?v=e-xTDQat0lo
Terzo gruppo:
http://www.youtube.com/watch?v=JCw3D8vy5Ac
La premiazione:
domenica 21 aprile 2013
La scacchiera
sabato 20 aprile 2013
Casa Gehry di Frank O. Gehry - Santa Monica, 1978
UNA NECESSARIA FRATTURA (DI)ROMPENTE
"Penso che
nel caso della mia casa la gente si sia seccata perchè ero ligio. Ho risposto:
"Va bene, voi vivete qui, usate reti metalliche, usate questi chiodi,
usate queste strane finestre". Ho preso una delle loro icone e ne ho fatto
più che un'icona, ho giocato con i loro detriti - e loro pensano che sia
normale - e semplicemente li ho ordinati in forma artistica. Quello che gli ha
dato fastidio è che si sono sentiti obbligati a metterci il naso dentro. Io non
volevo fargli mettere il naso dentro e offenderli. Stavo cercando di trovare il
modo di adattarmi a quel contesto, di usare il linguaggio di quel contesto, di
vivere con quegli elementi borghesi. Quando sono arrivato alla realizzazione,
ho finito col farli infuriare perchè lo leggevano come una presa in giro. Stavo
scherzando a loro spese, e si sono arrabbiati. Quando glielo ho spiegato si sono
calmati, ma erano veramente furiosi. Mi sono reso conto che possediamo davvero
un certo potere, come Warhol con i suoi barattoli di zuppa Campbell. Si può
davvero entrare a smuovere qualcosa, mandando in corto circuito un intero segmento
del mondo. Perchè ciò turba la gente, destabilizza il loro autocompiacimento in
un punto in cui pensavano che tutto andasse bene. Invece arriva questo tizio e
usa queste cose, in un modo che li turba. "Che cosa significa? Come osa
adoperare la rete metallica come una scultura? La rete metallica serve per fare
i recinti!". Ecco ciò che mi interessa, ciò che mi affascina."
Così Frank O.
Gehry parla della sua casa di Santa Monica, opera realizzata nel 1978 a seguito
dell’acquisto di una piccola casa dal radicato gusto borghese, la cui immagine
provoca nella mente dell’architetto sia amore che odio, sia “comprensione” che
repulsione. Gehry non demolisce la costruzione, non la svuota, ma l’avvolge con
un fabbricato a forma di “U” su tre dei quattro lati, mettendo qui in luce il
suo interesse verso la componente materiale della quotidianità, la sua volontà
assemblatoria, il montaggio libero e informale di pezzi trovati, definendo
appieno il nuovo paesaggio del “cheapscape” e realizzando una costruzione
anticonformista, a metà tra un loft industriale e una scenografia: un’anti-casa
decostruita, genuinamente sovversiva nella compiacente decadenza
dell’architettura populista americana. La scatola muraria viene aggredita,
quasi erosa, evadendo le regole, e l’espansione nasce dalla distruzione:
vengono così aperte nuove finestre dove effettivamente servono, per far entrare
la luce laddove ce ne è davvero bisogno, senza rispettare gli stereotipi;
vengono recuperati elementi “trash”, materiali poveri e di recupero, come reti
metalliche usate dai suoi vicini nei pollai, legno compensato e lamiere
ondulate “di risulta”.
La spazialità
della casa viene rinnovata e modificata tramite questo strano modo di intaccare
ed invadere l’esistente. Le finestre sono appena ritagliate nei pannelli di lamiera,
le porte si inseriscono dentro le lastre di compensato, i lucernai sono
composti da legni non trattati che soreggono il vetro in piani non ortogonali
tra loro, l’asfalto della strada si insinua sino al pavimento della cucina. Al
piano terra un nuovo diaframma di entrata sembra estendersi dai gradini
d’accesso caratterizzati da un movimento rotatorio, nel giardino retrostante
l’avvolgente lamiera si tramuta in un portico-galleria e al piano superiore
quest’addizione avvolge il doppio ambiente della camera matrimoniale con
camminamenti e terrazze su cui sbucano prismi irregolari che portano in basso
la luce zenitale. Internamente, al di là della scala che separa la zona notte,
si sviluppa uno spazio centrale che è il soggiorno e dal quale sono percepibili
tutti gli altri ambienti come l’ingresso, la sala da pranzo, la cucina, la zona
colazione, lo studio.
Impossessata
quasi dai fantasmi del cubismo, questa tessitura stratificata di materiali
diversi, poveri e tipici dei backyards americani, cerca una continuità tra
esterno e interno, creando bruschi contatti con elementi obliqui, sghembi,
giustapposti.
La casa di Santa Monica di
Frank O. Ghery gode, anche se in maniera provocatoria, di una sensibilità verso
la pratica del riuso, e ciò si manifesta visivamente attraverso il suo essere
avvolta in un collage fatto di materiali
di scarto e di recupero.
Questo nuovo
linguaggio cerca una partecipazione totale all’intero mondo contemporaneo e si
porta dietro una nuova idea residuale di contesto, un contesto derelitto, che
cerca negli scarti le tracce di una nuova energia e che dona alla sua casa il
fascino dell’incompiuto e sintetizza il desiderio di riscatto della bellezza
dal pregiudizio estetico.
Nei progetti
successivi Gehry porta avanti la sua ricerca resa nota con la sua strampalata
casa a Santa Monica e nella scuola di legge dell’Università di Loyola, a Los
Angeles, disarticola il programma funzionale in edifici distinti,
diversificando le parti e donando loro un valore aggiunto, plastico e figurativo,
non singolare ma collettivo, dato che ciò che conta è lo spazio che essi, colti
nel loro insieme, riescono a creare.
In un opera del 1984, l’Edgemar Complex,
sempre a Santa Monica, incentra le sua attenzione sullo spazio pubblico e
sull’idea di frattura e di separazione che riveleranno spazi inediti,
attribuendo importanza allo spazio cavo che diviene il centro di ogni
composizione urbana, formato e deformato dagli edifici e dai loro elementi a
forte reazione estetica.
Il paesaggio
residuale di Gehry è il grado zero di un nuovo sentire e di una
sperimentazione che prosegue la
creazione di un nuovo immaginario urbano già anticipata dai movimenti
avanguardistici dei primi del Novecento e dalle correnti americane del secondo
dopoguerra.
“Sono per un’arte che cresce senza sapere che è arte,
un’arte che ha l’opportunità di avere lo zero come punto di partenza. …Sono per
un’arte che prenda forma dalle linee della vita stessa, che contorca, estenda e
accumuli e spinga e goccioli, che sia pesante e ruvida e dolce e stupida come
la vita stessa. “
-Claes Oldenburg-
Bibliografia:
-Frampton Kenneth (2008), Storia
dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna
-Saggio Antonino (2010), Architettura e modernità. Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica, Carocci, Roma
-Frank Owen Gehry, Un'architettura di
frontiera, in Domus, n° 745, 1993
giovedì 18 aprile 2013
Il "cheapscape" nei cartoon
martedì 9 aprile 2013
LA MATERIA INFINITA vs ARCHITETTURA E MODERNITA’ Assonanze e confronto
La necessità di un recupero consapevole dei rifiuti riciclabili porta gli scarti della civiltà ad alimentare nuove tendenze economiche, che nulla hanno a che fare con il consumismo, anzi se ne discostano, guardando ai “resti” che esso produce e che costituiscono un problema di spazio e di ambiente.
L’economista Satu
Murakami , nel suo libro “La materia infinita – strategie del riciclo”, dalla
razionale economia riesce a far emergere la sublime manifestazione umana in
grado di elevare certi materiali, considerati di scarto, al rango di opere
infinite: l’arte, intesa sia nel senso più proprio del termine , e quindi come
creazione di vere e proprie opere di Raw Art che, recuperando rifiuti, donano
loro nuova vita e nuovo significato attraverso manifestazioni artistiche
concrete, e l’arte intesa in senso lato come forma di ingegno e creatività che
porta il recupero e il riutilizzo dei materiali di scarto verso scopi
utilitaristici in grado di indirizzare l’economia e la produzione verso uno
sviluppo sostenibile.
Così molti materiali si
trasformano, non diventano rifiuti ma transitano semplicemente da una vita ad
un’altra, in un ripetersi che potrebbe divenire infinito.
La totale riciclabilità
dell’acciaio, per esempio, lo rende una lega eterna, grazie anche al contenuto
di carbonio, che garantisce resistenza e durezza, e ciò è in parte testimoniato
da una scultura di Nikola Nikolov che rappresenta un energico samurai ottenuto
con cestelli di lavatrici recuperati.
Gli pneumatici vengono
resi unici ed eterni da un’opera dell’artista belga Serge Van De Put e possono
esser diversamente utilizzati per
produrre energia o per restituire i loro principali composti (gomma, acciaio e fibra)
dopo la triturazione.
Vecchie biciclette
vengono immortalate in un’opera di Mark Grieve e Ilana Spector, ma queste
possono essere recuperate, riparate e inviate nei paesi in via di sviluppo.
L’assemblaggio di
diversi vecchi giocattoli dà vita a “Foo Foo”, una scultura di Robert Bradford,
in cui la varietà di forme e di colori stimolano la curiosità dei più piccoli.
La plastica è un
materiale elastico, duttile e poco costoso, la cui produzione è la maggior
fonte di inquinamento per il Pianeta, data la quantità di petrolio necessaria
per la sua lavorazione e le emissioni dannose che il processo produttivo
provoca. Si cerca di incentivare il recupero e il riutilizzo dei rifiuti
plastici, da cui si possono ottenere fibre tessili o energia se si convertono
in combustibili.
In un’altra scultura di
Nikola Nikolov la fusione di acciaio e vetro consente di riciclare delle
bottiglie di vetro che passano così “a miglior vita”. Il vetro se termina nelle
discariche non si decompone, se produce emissioni dannose , se riciclato può diventare
“infinito”, riducendo anche i costi di produzione.
Nel “Poisedon for one
day” di Robert Bradford vengono riciclate delle imbarcazioni, in genere
raramente riutilizzate data la patina di vernice sulle tavole di legno.
La carta, ottenuta da
cellulosa ricavata dal taglio di alberi, può esser riciclata per circa sei o
sette volte prima che le sue fibre si assottiglino troppo.
Dal riciclo delle
automobili si può recuperare circa il 65% di acciaio o si possono realizzare
opere come il “Transformer” di Nikola Nikolov, costruito con rottami d’auto
recuperate.
Le lattine di
alluminio, e l’alluminio in generale, sono atti ad esser riciclati molte volte
dato che tale materiale mantiene inalterate le sue caratteristiche nel tempo e
se abbandonato si dissolve molto lentamente nell’ambiente e se bruciato crea
emissioni pericolose.
L’autore arriva poi a
parlare del riciclo di abiti usati, tema estremamente interessante a mio
avviso, data la diretta attinenza con il mio programma progettuale che ha come
driving force il riciclo di abbigliamento sportivo e capi di vestiario sportivi
ottenuti da materiali riciclati.
Nell’era in cui
assistiamo all’inserimento nel mercato di abiti a basso costo realizzati in
Cina, India o nell’Europa dell’est, il mondo del riciclo del vestiario è
cambiato, avendo gli abiti nuovi di importazione un costo addirittura più basso
di quello degli abiti usati.
I tessuti usati hanno
un alto valore e possono esser raccolti, selezionati e recuperati per poi
essere riutilizzati. La percentuale di tessuti riciclati ad oggi è molto bassa
(circa l’1% all’anno) e non basta solo raccogliere capi di vestiario porta a
porta o in appositi contenitori, ma tocca sensibilizzare ampliamente la
popolazione a tale forma di riciclo.
E’ chiaro quindi che il
recupero è un ramo molto importante della nuova economia dato che permette di
ridurre i costi dello smaltimento dei rifiuti, di creare alternative produttive,
rivalorizzando i materiali, e di mantenere il Pianeta più pulito.
E come la società
contemporanea cerca di mantenere il passo con i tempi, adagiandosi alle odierne
esigenze di uno sviluppo, che si auspichi divenga sempre più sostenibile, così
l’architettura contemporanea si è adeguata ai cambiamenti avvenuti nel corso
del secolo breve e che hanno portato al passaggio dalla società della macchina
alla società dell’informazione, come racconta il Prof. Arch. Antonino Saggio
nel suo libro “Architettura e modernità”.
L’informazione entra
nell’architettura, la permea e la pervade divenendo addirittura un elemento
progettuale, come nel Museo Kiasma di Steven Holl, che, partendo dalle forze
esterne cittadine, trasforma i flussi urbani, comunicando la sua idea
progettuale tramite metafore, o l’importante guida dei sistemi comunicativi nel
rilancio architettonico di Barcellona. Ma l’informazione è anche il mezzo
necessario per la comunicazione e la sensibilizzazione della popolazione alle
nuove tendenze contemporanee che percorrono la strada del riuso e del riciclo,
al fine di migliorare le nostre condizioni ambientali.
Tale sensibilità verso
i temi ambientali la si ritrova, a livello progettuale, in molti edifici della
fine degli anni ’80 e ’90 del Novecento, come, per citare un esempio
emblematico ed estremo, nel progetto di Biosphere 2, un’opera non solo di
architettura, ma anche di ingegneria e di biologia, in cui veri e propri perfetti
ecosistemi vengono ricreati all’interno di ampie superfici vetrate, dove
adeguate tecnologie permetto un riciclo presso che totale di acqua, di resti
animali e di resti umani, e un’autonoma generazione di cibo.
Anche la casa di Santa
Monica di Frank O. Ghery gode, anche se in maniera provocatoria, di una
sensibilità verso la pratica del riuso, e ciò si manifesta visivamente
attraverso il suo essere avvolta in materiali di scarto e di recupero.
E’ come se la buona
pratica di riutilizzare materiali di scarto, trasformandoli, smembrandoli,
decontestualizzandoli e decostruendoli, si riflettesse nella pratica
architettonica, che si sviluppa a partire dagli anni ’80 e che va sotto il nome
di Decostruttivismo, di modifica (e quindi di decostruzione) del significato
delle icone tradizionali e delle usuali convenzioni.
Se a livello
progettuale un rinnovamento delle forme è necessario a mantenere in tensione l’architettura,
a livello economico e produttivo risulta opportuno un cambiamento di punto di
vista che cerchi di trasformare la parola crisi in opportunità e che agisca nel
totale rispetto dell’ambiente che ci circonda.
E mai come oggi risulta
attuale la celebre affermazione di Eraclito: “Nulla si crea, nulla si
distrugge, tutto si trasforma.”
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