martedì 9 aprile 2013

LA MATERIA INFINITA vs ARCHITETTURA E MODERNITA’ Assonanze e confronto


La necessità di un recupero consapevole dei rifiuti riciclabili porta gli scarti della civiltà ad alimentare nuove tendenze economiche, che nulla hanno a che fare con il consumismo, anzi se ne discostano, guardando ai “resti” che esso produce e che costituiscono un problema di spazio e di ambiente.
L’economista Satu Murakami , nel suo libro “La materia infinita – strategie del riciclo”, dalla razionale economia riesce a far emergere la sublime manifestazione umana in grado di elevare certi materiali, considerati di scarto, al rango di opere infinite: l’arte, intesa sia nel senso più proprio del termine , e quindi come creazione di vere e proprie opere di Raw Art che, recuperando rifiuti, donano loro nuova vita e nuovo significato attraverso manifestazioni artistiche concrete, e l’arte intesa in senso lato come forma di ingegno e creatività che porta il recupero e il riutilizzo dei materiali di scarto verso scopi utilitaristici in grado di indirizzare l’economia e la produzione verso uno sviluppo sostenibile.
Così molti materiali si trasformano, non diventano rifiuti ma transitano semplicemente da una vita ad un’altra, in un ripetersi che potrebbe divenire infinito.
La totale riciclabilità dell’acciaio, per esempio, lo rende una lega eterna, grazie anche al contenuto di carbonio, che garantisce resistenza e durezza, e ciò è in parte testimoniato da una scultura di Nikola Nikolov che rappresenta un energico samurai ottenuto con cestelli di lavatrici recuperati.

Gli pneumatici vengono resi unici ed eterni da un’opera dell’artista belga Serge Van De Put e possono esser  diversamente utilizzati per produrre energia o per restituire i loro principali composti (gomma, acciaio e fibra) dopo la triturazione.

Vecchie biciclette vengono immortalate in un’opera di Mark Grieve e Ilana Spector, ma queste possono essere recuperate, riparate e inviate nei paesi in via di sviluppo.

L’assemblaggio di diversi vecchi giocattoli dà vita a “Foo Foo”, una scultura di Robert Bradford, in cui la varietà di forme e di colori stimolano la curiosità dei più piccoli.

La plastica è un materiale elastico, duttile e poco costoso, la cui produzione è la maggior fonte di inquinamento per il Pianeta, data la quantità di petrolio necessaria per la sua lavorazione e le emissioni dannose che il processo produttivo provoca. Si cerca di incentivare il recupero e il riutilizzo dei rifiuti plastici, da cui si possono ottenere fibre tessili o energia se si convertono in combustibili.
In un’altra scultura di Nikola Nikolov la fusione di acciaio e vetro consente di riciclare delle bottiglie di vetro che passano così “a miglior vita”. Il vetro se termina nelle discariche non si decompone, se produce emissioni dannose , se riciclato può diventare “infinito”, riducendo anche i costi di produzione.

Nel “Poisedon for one day” di Robert Bradford vengono riciclate delle imbarcazioni, in genere raramente riutilizzate data la patina di vernice sulle tavole di legno.

La carta, ottenuta da cellulosa ricavata dal taglio di alberi, può esser riciclata per circa sei o sette volte prima che le sue fibre si assottiglino troppo.
Dal riciclo delle automobili si può recuperare circa il 65% di acciaio o si possono realizzare opere come il “Transformer” di Nikola Nikolov, costruito con rottami d’auto recuperate.

Le lattine di alluminio, e l’alluminio in generale, sono atti ad esser riciclati molte volte dato che tale materiale mantiene inalterate le sue caratteristiche nel tempo e se abbandonato si dissolve molto lentamente nell’ambiente e se bruciato crea emissioni pericolose.
L’autore arriva poi a parlare del riciclo di abiti usati, tema estremamente interessante a mio avviso, data la diretta attinenza con il mio programma progettuale che ha come driving force il riciclo di abbigliamento sportivo e capi di vestiario sportivi ottenuti da materiali riciclati.
Nell’era in cui assistiamo all’inserimento nel mercato di abiti a basso costo realizzati in Cina, India o nell’Europa dell’est, il mondo del riciclo del vestiario è cambiato, avendo gli abiti nuovi di importazione un costo addirittura più basso di quello degli abiti usati.
I tessuti usati hanno un alto valore e possono esser raccolti, selezionati e recuperati per poi essere riutilizzati. La percentuale di tessuti riciclati ad oggi è molto bassa (circa l’1% all’anno) e non basta solo raccogliere capi di vestiario porta a porta o in appositi contenitori, ma tocca sensibilizzare ampliamente la popolazione a tale forma di riciclo.
E’ chiaro quindi che il recupero è un ramo molto importante della nuova economia dato che permette di ridurre i costi dello smaltimento dei rifiuti, di creare alternative produttive, rivalorizzando i materiali, e di mantenere il Pianeta più pulito.
E come la società contemporanea cerca di mantenere il passo con i tempi, adagiandosi alle odierne esigenze di uno sviluppo, che si auspichi divenga sempre più sostenibile, così l’architettura contemporanea si è adeguata ai cambiamenti avvenuti nel corso del secolo breve e che hanno portato al passaggio dalla società della macchina alla società dell’informazione, come racconta il Prof. Arch. Antonino Saggio nel suo libro “Architettura e modernità”.
L’informazione entra nell’architettura, la permea e la pervade divenendo addirittura un elemento progettuale, come nel Museo Kiasma di Steven Holl, che, partendo dalle forze esterne cittadine, trasforma i flussi urbani, comunicando la sua idea progettuale tramite metafore, o l’importante guida dei sistemi comunicativi nel rilancio architettonico di Barcellona. Ma l’informazione è anche il mezzo necessario per la comunicazione e la sensibilizzazione della popolazione alle nuove tendenze contemporanee che percorrono la strada del riuso e del riciclo, al fine di migliorare le nostre condizioni ambientali.

Tale sensibilità verso i temi ambientali la si ritrova, a livello progettuale, in molti edifici della fine degli anni ’80 e ’90 del Novecento, come, per citare un esempio emblematico ed estremo, nel progetto di Biosphere 2, un’opera non solo di architettura, ma anche di ingegneria e di biologia, in cui veri e propri perfetti ecosistemi vengono ricreati all’interno di ampie superfici vetrate, dove adeguate tecnologie permetto un riciclo presso che totale di acqua, di resti animali e di resti umani, e un’autonoma generazione di cibo.

Anche la casa di Santa Monica di Frank O. Ghery gode, anche se in maniera provocatoria, di una sensibilità verso la pratica del riuso, e ciò si manifesta visivamente attraverso il suo essere avvolta in materiali di scarto e di recupero.

E’ come se la buona pratica di riutilizzare materiali di scarto, trasformandoli, smembrandoli, decontestualizzandoli e decostruendoli, si riflettesse nella pratica architettonica, che si sviluppa a partire dagli anni ’80 e che va sotto il nome di Decostruttivismo, di modifica (e quindi di decostruzione) del significato delle icone tradizionali e delle usuali convenzioni.
Se a livello progettuale un rinnovamento delle forme è necessario a mantenere in tensione l’architettura, a livello economico e produttivo risulta opportuno un cambiamento di punto di vista che cerchi di trasformare la parola crisi in opportunità e che agisca nel totale rispetto dell’ambiente che ci circonda.
E mai come oggi risulta attuale la celebre affermazione di Eraclito: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.”

1 commento:

  1. io sono la ghostwriter lel libro materia infinita - lieta che sia stato ripescato

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